Nel nostro lavoro “curare” non significa solo lenire il dolore, alleviare i sintomi e la sofferenza fisica ma anche, e soprattutto, conoscere la persona, starle vicino, capirne i bisogni, dare importanza ai suoi legami, alle sue relazioni più care.
Per noi il tempo dell’ascolto, dell’accompagnamento, della presenza è tempo di cura. E, quindi, stare vicino, a volte semplicemente “stare”, anche in silenzio, può fare la differenza… E cambiare la qualità della vita nel tempo che resta.
Con le parole del bioeticista Sandro Spinsanti, coordinatore del nostro Comitato Scientifico:
«Il grande problema è immaginare una medicina a due tempi, in cui prima si fa tutto e poi non c’è più niente da fare… Una rivalutazione delle Cure Palliative è, invece, fondamentale perché se noi utilizziamo lo schema “non c’è più niente da fare, chiamate il palliativista” siamo fregati. In Italia il termine palliativo equivale ad inefficace: c’è la medicina “che risolve” e poi c’è il “palliativo”. Ma questa è una caricatura della palliazione, un fallimento. Tant’è vero che la FILE ha proprio cercato di opporsi anche dal punto linguistico all’accezione negativa insita in questo concetto, evocando la “Leniterapia” invece della terapia palliativa».