A Careggi mi occupo Cure Palliative precoci e simultanee: qui i pazienti vengono seguiti per tutti i sintomi che costellano i percorsi di malattia e questo dà modo ai colleghi oncologi di poter continuare con loro le terapie attive, che li aiutano nonostante la prognosi di inguaribilità.
È così che conosco Cinzia. Entrò un pomeriggio accompagnata dalla mamma, s’intravedeva la bellezza della sua giovane età. All’inizio rimase in silenzio, mi osservava e lasciava che fosse la sua accompagnatrice ad elencarmi i motivi clinici per cui era lì.
“Cinzia è una combattente”, mi dico io, “è al suo quarto incontro con un’aggressione tumorale e ancora lotta come una leonessa”.
La visito, imposto la terapia, le do i consigli del caso, prescrivo i farmaci e, solo allora, Cinzia mi dice che lei non avrebbe voluto essere da me, praticamente c’era stata trascinata per forza. Lei non era da cure palliative.
Quando finiamo, mi rivolgo a lei e le dico: “Non ti darò un nuovo appuntamento, se vorrai tornerai da me”.
Ed ecco che ci siamo viste tutti i mesi ogni 15 giorni, puntualmente. Stava meglio, apparentemente, e un giorno mi disse che sarebbe voluta ritornare al suo amato lavoro: ci siamo riuscite, anche se per poco.
Dopo otto mesi dal nostro primo incontro, Cinzia venne da sola dentro l’ambulatorio, la mamma rimase fuori ad attenderla. Si presentò con un’orchidea e un biglietto, nella busta c’era scritto: a una grande dottoressa. È stata la nostra ultima volta.
L’orchidea è ancora con me in ambulatorio.