Perché si muore? Perché si deve perdere ciò che ci è così caro, ciò che amiamo? A queste domande non c’è una risposta.
Accogliere che anch’io, come professionista, balbetti quando mi vengono posti tali interrogativi, rafforza in me la certezza e la convinzione che l’unico modo per sopravvivere alla morte e alla perdita consista nell’accettarle, avendo cura del tempo e del ricordo di ciò che non c’è più.
Solo così il dolore non si lega più al rischio di negare o dimenticare ma, quasi “magicamente”, si trasforma nella possibilità di portarlo dentro di sé e garantire la continuità e la significatività di quel legame.
Per farlo vivere in noi, giorno dopo giorno, amandolo profondamente, anche se non potrà più essere quello di prima.
L’accettazione è un percorso faticoso, doloroso, che, a mio parere, non finisce mai.
Ma, quel dolore straziante della mancanza piano piano non avrà più il “potere” di togliere speranza e fiducia nel futuro, permettendo di apprezzare la vita per quella che è, riconoscendone il valore profondo.
E così, proprio il più grande mistero della vita diventa qualcosa a cui è possibile avvicinarsi senza esserne unicamente congelati o travolti».
Francesca Bartolozzi, psicologa e psicoterapeuta FILE