Da gennaio 2018 è entrata in vigore una legge fondamentale che ha reso più concreto l’art. 32 della Costituzione e ha dato regole chiare in merito alla relazione di cura, tese a specificare gli ambiti delle Cure Palliative. Mi riferisco alla legge 219 del 22 dicembre 2017 intitolata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” (che molti ancora chiamano “la legge sul testamento biologico”).
Questa legge chiarisce cosa si deve intendere per relazione di cura, cioè “il rapporto di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato in cui si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.
Ma chiarisce altresì che “ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute” e/o di delegare una persona di fiducia incaricata di riceverle e di esprimere il proprio consenso, riprendendo un punto che già era strato inserito nella Carta di Firenze, redatta da un gruppo di professionisti nel 2004: “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. E questo dovrebbe essere tenuto presente sempre ma soprattutto quando un medico deve comunicare una diagnosi grave a prognosi infausta e la persona che la riceve deve poter essere accolta con tutte le proprie emozioni, paure ed angosce.
La legge esplicita che deve essere “garantita un’appropriata terapia del dolore, con un coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative” (già obbligate dalla legge 38/2010).
Per la prima volta poi viene definito anche “il diritto – per la persona minore di età o incapace – alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione e che pertanto deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle proprie capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere le proprie volontà”.
Se noi pensiamo a quante volte nella pratica corrente viene messa in dubbio da familiari (ma talvolta anche da operatori sanitari) la necessità di parlare con i pazienti – giovani o anziani – capaci o incapaci – in modo chiaro e veritiero in merito a notizie gravi sulle malattie in corso, con il malinteso proposito di proteggerli, i dettati di questa legge dovrebbero modificare la relazione di cura.
Infatti, nell’articolo 4, viene sancito un principio, quello per cui “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, e dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le D.A.T., esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari” e può indicare un fiduciario che, in corso di temporanea o permanente incapacità, ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Per rendere più facile questo compito e per fornire tutte le informazioni che le persone desiderano avere prima di scegliere se fare le D.A.T. o meno, File fin dal 2018 ha creato, grazie alla disponibilità di alcuni medici palliativisti della propria équipe e della sottoscritta, un servizio gratuito di consulenza aperto a tutta la popolazione presso la propria sede. Ne è stata data ampia pubblicità attraverso i social e i media e in questi anni molte persone ne hanno usufruito, mediante una semplice prenotazione online.
Varie sono state le motivazioni che hanno spinto le persone ad utilizzare quanto previsto dalla legge, che ha trovato nella Regione Toscana terreno fertile perché già ispirato dal lavoro della Commissione Regionale di Bioetica, dagli uffici regionali a ciò preposti che, anche tramite il FORMAS, hanno organizzato corsi di aggiornamento per tutti gli operatori sanitari (sia in presenza che con specifiche attività di FAD), oltre ad una modulistica che rende più agevole la compilazione delle D.A.T. e locandine e opuscoli che specificano “Scelgo oggi le mie cure per quando non potrò più farlo”.
Ma soprattutto la Regione Toscana è stata la prima, e per ora l’unica, che ha facilitato l’apertura di uffici abilitati a ricevere le D.A.T. in ogni Azienda Sanitaria, che, oltre ai notai e agli Uffici di Stato Civile dei vari Comuni, le inseriscono direttamente nel Registro Nazionale delle D.A.T. che – come quello relativo alle donazioni d’organo – è stato predisposto presso il Ministero della Salute.
Tutto quanto previsto dalla legge e predisposto a livello organizzativo non diventerebbe prassi se non ci fosse a monte, in ciascuno di coloro che considerano la rilevanza delle D.A.T., una consapevolezza profonda sulla finitezza della propria vita e sull’opportunità di sgravare i propri familiari dal compito di decidere in merito a trattamenti sanitari complessi e, talvolta, decisivi ed urgenti.
Poter riflettere con calma sulle vicende che hanno toccato altre vite e hanno riguardato la fine della vita di persone note e/o a noi vicine, e pensare anticipatamente a quei trattamenti che vorremmo ci venissero evitati per non ledere quel senso di dignità che ciascuno di noi ha il diritto di interpretare in modo specifico e di tutelare anche alla fine della propria vita, è quello che la nostra società, attraverso la legge 219/17, ci offre ma che ancora – se guardiamo al numero totale delle D.A.T. consegnate – molti non conoscono e pertanto non utilizzano.