Convivere con una malattia inguaribile cambia inevitabilmente le abitudini, i ritmi, i ruoli familiari. E provoca smarrimento, confusione, sofferenza, fisica e relazionale, da affrontare con i giusti strumenti.
Orientarsi alle Cure Palliative per il mantenimento della miglior qualità di vita possibile è il primo passo, che non rappresenta solo una tappa di rimodulazione dei trattamenti clinici ma anche l’inizio di un percorso di riadattamento psicologico che riguarda sia la persona malata che i suoi familiari.
Ne parliamo con la dottoressa Erika Khiari, psicologa di File.
Da un punto di vista psicologico il paziente (e spesso anche la famiglia) si trova davanti ad un bivio.
Da un lato il “fare” permette di mantenere un atteggiamento attivo, fiducioso e operativo, consentendo alla persona di conservare e salvaguardare la “speranza di guarigione” (si fissano appuntamenti, si richiedono nuove valutazioni, ci si sottopone ad ulteriori esami).
Dall’altro lato, il “non fare” porta a scontrarsi con il limite e con l’idea di doversi “arrendere” perché la guarigione non è possibile. La persona può, dunque, venire sopraffatta da ansia, depressione, smarrimento, senso di abbandono, sentimenti di rabbia e di sfiducia per il futuro.
Nel processo di elaborazione di malattia, le “illusioni di guarigione” rappresentano un passaggio importante, poiché possono avere una funzione protettiva per la persona facendo prendere temporaneamente le distanze dagli aspetti più sconvolgenti della fase avanzata di malattia. In questo modo, tra un esame e un appuntamento, la persona si riappropria del tempo necessario per l’adattamento a questo nuovo scenario.
D’altro canto, è importante che il concetto di guarigione, con il tempo, affievolisca, per permettere alla persona di far emergere gli aspetti più utili e costruttivi di questa nuova fase, come ad esempio la rimodulazione delle speranze.
Perché possa avvenire un riadattamento delle speranze è necessario considerare una prospettiva diversa: non più tra il “fare” e il “non fare”, ma tra il “fare” ed il “fare altro”, tra la prosecuzione di trattamenti non più indicati e sproporzionati e l’inizio di un percorso che garantisca una presa in carico globale della persona.
Esattamente. In tal senso le speranze non saranno più totalmente volte alla guarigione ma si adatteranno a questa difficile fase di malattia. Saranno speranze proporzionali agli obiettivi quotidiani che si adeguano allo scenario in continua evoluzione: dalla speranza di poter continuare a fare le cose di sempre alla speranza di mantenere l’autonomia; dalla speranza di condividere altri momenti con i propri cari alla speranza di non soffrire e di non provare dolore.
In definitiva, assumere nuove e diverse speranze in questa fase di malattia, significa andare oltre l’illusione di guarigione, non per smettere di lottare tenacemente ma per mettere in gioco tutte le risorse necessarie ad affrontare questa difficile fase della vita, partecipando attivamente al percorso di cura.